"Giornalismo camorristico", comunicazione e trasparenza

Premio Pulitzer 2013 per il giornalismo investigativo, attribuitoa David Barstow e Alejandra Xanic von Bertrab del New York Times per l’inchiesta sulla Wal-Mart.

Premio Pulitzer 2013 per il giornalismo investigativo, attribuito a David Barstow e Alejandra Xanic von Bertrab del New York Times per l’inchiesta sulla Wal-Mart.

Oggi è diffusa da noi l’opinione che la capacità di comunicare costituisca la prima qualità di un politico con aspirazioni di successo. Teorema dimostrato a quanto pare sia da Berlusconi nel 1993, quando scese in campo inventandosi un partito capace di vincere su molti fronti, sia da Renzi che nel 2015 ha bruciato le tappe vincendo le Primarie del Pd e diventando di colpo Capo del partito e del Governo senza essere neppure parlamentare. Il potere oggi si accoppia bene con la comunicazione, come il classico pane con il cacio. Anzi di più. Il potere diventa esso stesso mezzo di comunicazione, secondo Niklas Luhmann. Non è che prima la comunicazione fosse ancella della politica. E’ che il progresso tecnologico, l’avvento prima della televisione e poi di internet, hanno esaltato al massimo il ruolo e la funzione di quella come fattore di formazione del consenso politico. E la rapidità con la quale, in tempi di banda larga, si possono scambiare in real time in tutto il Pianeta dati, immagini e suoni (tutti elementi che sostanziano la comunicazione) rende ancora più “forte” il potere dei “grandi comunicatori”. Tanto che non a caso sta nascendo anche in Italia la professione del “comunicatore”. Che - sia ben chiaro - ha poco o nulla a che fare con quella di “giornalista”. E si capisce a volo perché. La comunicazione (per estensione “ciò che viene reso noto” – dizionario Gabrielli) ha più a che fare con quello che oggi gli anglofoni definiscono lo “storytelling”, una narrazione personalizzata di fatti e situazioni. La materia prima del giornalista, invece, restano le informazioni riscontrate e verificate, anche quando costituiscano la base di commenti, analisi e opinioni. Un giornalista eticamente formato non manipola mai le informazioni in suo possesso per piegarle alla propria narrazione, anche quando non si limiti a trascriverle, ma si proponga di ragionarci sopra per spiegarne ai lettori (come fanno gli opinion maker) contenuti, finalità, implicazioni e connessioni con altre notizie già date o note. E’ proprio in questo lavoro di raccordo tra una notizia  e altre disponibili e connesse che il giornalista traccia la sua linea di demarcazione dallo storytelling, dal comunicatore. Questi infatti svolge un’attività di scopo (usa le parole "per" convincere gli ascoltatori riguardo a quello che va dicendo loro). Mentre lo scopo del reporter eticamente formato è quello di dare la notizia tenendo sempre i fatti separati dalle proprie opinioni, avvertendo il lettore se passa da un ruolo all’altro. Lo scopo del giornalista è dunque quello di dare al lettore tutte le informazioni riguardanti un fatto, necessarie per comprenderlo e farsene un’idea giusta, cioè prossima alla verità. Una verità certo non assoluta, ma corrispondente a quella controllata de visu (o accertata) da chi si occupi di trasferirne ad altri la conoscenza. E' umano e scontato che anche il giornalista scriva o commenti pensando a come giudicheranno il suo “pezzo” i potenziali lettori. Ma il suo scopo principale, se agisce con etica professionale, non è (solo) quello di farsi piacere, ma quello di rappresentare con onestà intellettuale quello che ha visto o capito di una situazione o di un evento. Il problema di fondo, se siamo tutti d’accordo sulla necessità di avere un giornalismo di alto profilo etico-professionale, è quello della qualità dell’informazione di base, soprattutto di quella politico-istituzionale. E’ qui che c’è bisogno di una vera rivoluzione culturale. Sia da parte della politica che agisce nelle istituzioni. Sia da parte dei giornalisti che lavorano nelle redazioni e degli opinionisti che le frequentano. In cosa debba consistere questa rivoluzione è presto detto. Bisogna dare (e i cittadini devono imparare a pretendere) piena attuazione al Decreto legislativo 33/2013 che ha per titolo “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi della pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. I giornalisti non devono lavorare sulle “veline” o sulle "affinità elettive" derivanti da relazioni sociali sedimentate con politici. Tutti i dati che riguardano la gestione della “res publica” devono essere reperibili senza percorsi ad ostacoli in rete. Com’è possibile (Sindaco ff e Presidente della Commissione Trasparenza del Comune di Salerno) che, nonostante l’esistenza della citata legge, alla voce “Amministrazione trasparente” del sito web comunale, del Bilancio Consuntivo 2014 si continui pubblicare solo la paginetta dei quadri riassuntivi, e non anche i rendiconti finanziari analitici delle Entrate e delle Spese? Poi qualcuno evoca il “giornalismo camorristico” nel tentativo di far mettere il bavaglio ai pochi che perseverano nel lavoro di “watch dog” del potere, ponendo qualche domanda nella speranza di qualche risposta nel merito. Invece che la solita gragnola di insulti e sberleffi.