Francis Bacon. Né servi, né cortigiani della gente

Sbagliamo in quanto appartenenti al genere umano. Sbagliamo in quanto singoli individui. Sbagliamo perché condizionati dai rapporti con gli altri. Quasi impossibile, dunque, se si è vivi, non sbagliare. C’è forse un rimedio: la conoscenza, purché non sia “né serva né cortigiana ma sposa”. Un’altra frase scolpita nell'eternità, un’altra scheggia conficcata nella nostra pelle. L’autore della scheggia è sir Francis Bacon, per i latini Franciscus Baconus poi italianizzato in Francesco Bacone, nato e morto a Londra tra 1500 e 1600: filosofo, politico, giurista. Fra le tante cose che ci ha lasciato e che noi bellamente ignoriamo, c’è la riflessione sugli errori (“idola” secondo il baronetto), che corrompono tanto spesso il nostro intelletto e che Bacone divide in quattro gruppi: “idola tribus”, errori della tribù, radicati nella specie umana, fatta in modo tale che inevitabilmente commette errori; “idola specus”, errori della spelonca, dovuti alla soggettività dell’uomo, legati alla sua particolare individualità; “idola fori”, errori della piazza, causati dalle reciproche relazioni del genere umano; infine “idola theatri”, errori della finzione scenica, che Bacone imputa, tra gli altri, al sistema aristotelico che ha descritto un mondo fittizio non corrispondente alla realtà. Ma prima di classificare gli errori sir Francis ne indica le cause. E qui giganteggia.

Ecco le tre cause, ecco perché così spesso l'uomo sbaglia: è più attaccato alle proprie idee che alle cose; è insofferente per il dubbio; attribuisce false finalità alla conoscenza. Poi i fuochi d’artificio che avrebbero dovuto schiarirci il cammino: <E allora la conoscenza non sarà più né una cortigiana, strumento di voluttà, né una serva, strumento di guadagno, ma una sposa legitima, rispettata e rispettabile, feconda di nobil prole, di vantaggi reali, e di oneste delizie>.

Credete forse che a qualcuno fischino le orecchie? No, certo. Riavvolgete il nastro delle vite, delle vite di tutti, cercate le circostanze nelle quali abbiamo detto fatto pensato qualcosa in merito a qualcos’altro; e valutate. La politica, ad esempio, è il regno degli “errori della piazza”: quanti se ne commettono per ascoltare la “gente”, per dare retta alla “gente”, per titillare i peggiori istinti della “gente”; e per finire immancabilmente prigionieri a nostra volta della “gente”. E l’informazione? Sempre più cortigiana, altro che conoscenza. E quante sudicie e unte abitudini si perpetuano perché - senti dire e pontificare -  la “gente vuol leggere questo” e in realtà “ questo” cambia di continuo, e soprattutto nessuno ne possiede davvero il segreto.

E il calcio? Beh, il calcio è davvero il terreno ideale per seminare e far crescere rigogliosi gli “errori della piazza”. Altro che “conoscenza né serva né cortigiana”. Abbiamo vinto? Merito dell’allenatore e della squadra. Abbiamo perso? Colpa dell’arbitro e della sfortuna. Sto vincendo e tolgo una punta per un difensore? La gente è contenta. I nostri tifosi hanno sfasciato un autogrill? Li hanno provocati. Hanno spaccato la testa a un tifoso avversario? Bisogna vedere chi ha iniziato. Fuorigioco non fischiato a mio favore? Non ho visto, la panchina è lontana dal campo. Rigore fischiato contro di me? Era nettissimo, l’hanno visto tutti. Vinco giocando male? E’ la scuola italiana. Gli altri vincono giocando male? E’ stato un furto, avremmo meritato noi.

Quel che non abbiamo meritato, è che ci abbiano preceduto persone come sir Francis Bacon. E quel che non meritava lui (e gli altri come lui), è che di errore in errore e di ramo in ramo l’umanità producesse i frutti di oggi.