Eduardo dopo Eduardo, l'infinito intrattenimento

natale in casa cupielloSono passati trenta anni dalla morte di Eduardo De Filippo, gli stessi dagli esordi di una nuova drammaturgia napoletana. Un tempo giusto per ripercorrere, in occasione di questo anniversario, una vicenda teatrale che ha aperto nuovi scenari nel teatro del nostro paese e ha avviato un serio tentativo di rifondazione del repertorio nazionale. Da Napoli partì negli anni ottanta un nuovo corso, quando,  in occasione del debutto di “Ferdinando” di Annibale Ruccello, si organizzò il convegno “Sotto il vulcano- Nuova drammaturgia a Napoli”;  vennero poi fuori altre opere, di Ruccello,  di Enzo Moscato e nei teatri off napoletani nacquero la curiosità e lo stupore dopo decenni di un teatro dell’immagine, del silenzio, della nuova spettacolarità. Questo rese necessaria una riflessione più compiuta su quella nouvelle vague napoletana: il rapporto con la storica tradizione letteraria; la ricerca sulla lingua e sui dialetti, le ascendenze e le asimmetrie tra Petito, Scarpetta,  Viviani, Eduardo. Ne nacque così un fortunato libro che metteva insieme Manlio Santanelli, Annibale Ruccello, Enzo Moscato in un’area definita del "Dopo Eduardo" (*),  e che suscitò non poche polemiche tra un dopo Viviani  e un dopo Genet, in ogni caso una metafora del "post"  che andò a nutrire  una cosiddetta "scuola napoletana” e aprì la strada a numerosi altri filoni di ricerca. La drammaturgia napoletana degli anni ottanta si poneva nei confronti della tradizione con salti e rotture linguistiche; utilizzava, come nel caso di Ruccello, la lingua alta della tradizione barocca con contaminazioni periferiche, televisive e metropolitane; oppure si inabissava nei labirinti onirici di Moscato, tradendo un immaginario collettivo di matrice antropologica già indagato da Roberto De Simone.  L’ambizione era ritrovare una originaria integrità, riappropriarsi di una vitale annibaleenergia comunicativa, e ricondurre la parola, l'affabulazione, il racconto al rapporto tra autore e pubblico. Gli autori che furono protagonisti di quella stagione intuirono che in una società dei media la funzione del teatro poteva costituire una sorta di baluardo contro una progressiva cancellazione della lingua; da qui il recupero di lingue minori per toccare il cuore profondo della propria comunità. Le questioni poste non hanno riguardato unicamente l'immissione sulla scena di inedite e interessanti pièces ( che in ogni caso avevano avuto un generale black out  almeno dagli anni cinquanta); ma hanno lanciato l' esigenza di una rifondazione complessiva di una drammaturgia nazionale dopo i sussulti dell' avanguardia; hanno inoltre riguardato le implicazioni estetiche tra nuove opere e analoghi innovatori sul piano della regia, della recitazione, della produzione, per un rinnovamento anche del mercato e della distribuzione. Venivano inoltre poste tematiche che andavano a toccare l'anima profonda della città: la signora abbandonata nella villa vesuviana di "Ferdinando" che vagheggia un mondo borbonico ormai perduto e che affonda le mani nella ferita di  una mai pacificata unità nazionale; la Signora degli angiporti di "Piéce noire" di Moscato che alleva trovatelli e li trasforma in angeli del desiderio; e le "Mamme", i transgender di "Le cinque rose di Jennifer"; le disabilità, le ingiurie del corpo presentate in chiave comica o grottesca da un Francesco Silvestri o ancora da Moscato ("Angeli all'inferno", "Festa al celeste e nubile santuario"). Un teatro profetico ed espressione di una dolorosa mutazione. Oggi, dopo trenta anni, constatiamo che il “Dopo Eduardo”, avviatosi nei primi anni ’80, non è  finito. Rivive negli allestimenti del figlio Luca e nelle regie sganascianti di Armando Pugliese; nelle opere di Enzo Moscato accompagnato da Isa Danieli;  nelle meravigliose messe in scena del compianto Leo De Berardinis come “A da passà a nuttata”; nelle rivisitazioni di Alfonso Santagata; nelle reinterpretazioni  attoriali come quella televisiva di Mariangela Melato con la regia di Massimo Ranieri; o nelle gelide rivisitazioni registiche di Cristina Pezzoli  e di Toni Servillo; fino a coraggiose prove di un “Natale in cupiello-russo-alesicasa Cupiello”  trasformato in un unico assolo da Fausto Russo Alesi o alla produzione di questa stagione dello stesso testo da parte di Antonio Latella che debutta in dicembre al Teatro Argentina di Roma. Non solo insomma il perenne  filone popolare del repertorio di tante filodrammatiche meridionali  ma la sperimentazione, l’attraversamento, il travisamento che si trasforma in malia, fascinazione e che ci fa interrogare sulle motivazioni segrete e profonde di tanto incantamento. Sarà quel carattere ambiguo del diverso, da figlio illegittimo della tradizione, quel rapporto conflittuale e obliquo con il Padre, quel personaggio di “tipo tradizionale dell’artista guitto, povero, tormentato e …filosofo” che descriveva ad ingresso in scena di Sik Sik, l'artefice magico. Forse è questo cuore nascosto ad attrarre arditi sperimentatori che in Eduardo ritrovano la raffigurazione sbilenca dell’Artista e ripropongono le ignobili farse, le tavole imbandite, le avvelenate famiglie.Un “infinito intrattenimento” eduardiano  che continua a sorprendere con la grande forza della contemporaneità.

*) "Dopo Eduardo Nuova drammaturgia a Napoli", a cura di L.Libero, Napoli Guida Editori 1987

Nelle foto una scena da "Natale in casa Cupiello"; Annibale Ruccello in "Le cinque rose di Jennnifer"; Fausto Russo Alesi in "Natale in casa Cupiello"