Ecco perchè non voterò alle primarie

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Sono ormai convinto che sia del tutto inutile partecipare alla messa cantata delle primarie. Nessuno dei candidati alla guida della coalizione rappresenta la mia idea di politica. Nichi Vendola, per esempio, ha grandi qualità umane e un’oratoria ineffabile. Ha avuto il pregio di introdurre nella cinica retorica del politichese il soffio della poesia. I politici della seconda Repubblica ci hanno abituato ad un linguaggio volgare, a volte truculento, che non ha più nessun legame con i talenti culturali (in alcuni casi si tratta di veri e propri analfabeti prestati alla politica). Il populismo ha spazzato via, insieme alle buone maniere, la passione intellettuale, la capacità di ragionare, di dialogare e persino di studiare prima di aprire bocca. La politica, oggi, è l’arte dell’improvvisazione, un tempo era la facoltà di leggere il futuro per raccontarlo a chi non era in grado di vederlo.

Vendola queste doti le ha, ma ha commesso un errore: ha costruito un partito intorno alla sua persona e alla sua esperienza di governatore della regione Puglia. Insomma ha compiuto il passo che Bassolino non ha mai osato fare. Il che può essere positivo in una società in cui la politica è stata fagocitata dai mezzi di comunicazione di massa, ma, a mio avviso, essere di sinistra significa anche evitare la formazione di personalismi politici. Essere leader non significa piegare il contesto alle proprie ambizioni, al contrario vuol dire guidare le aspirazioni collettive e renderle esigenze comuni. Il “bon” Bersani ha l’odore dell’Emilia. Appartiene a quella gente che discute, che vuole sapere prima di decidere, che si sforza di crescere, che non vuol rinunciare a lottare per migliorare, giorno dopo giorno, la qualità della propria vita. Bersani, però, è un bravo esecutore che porta sulle spalle una tara invisibile quanto gravosa: è l’emblema di una sinistra (Pci – Pds – Ds) che negli ultimi vent’anni ha perduto ogni contatto con il suo elettorato, ma soprattutto ha perso ogni riferimento identitario. Il segretario del Pd è come un ottimo vino invecchiato, dall’aroma tostato e dal sapore corposo, che, prima di essere servito, viene spezzato con mezzo litro d’acqua, risultando gradevole anche ai bevitori meno esperti. Il giovane Matteo Renzi (almeno così c’è scritto sulla carta d’identità) è determinato. Va in giro con il camper, parla alla gente e sbotta contro i vecchi tromboni del suo partito agitando il randello della “rottamazione”. Molti miei amici lo supportano perché, al di là della sua connaturata antipatia di viziato figlio di papà, pare abbiano trovato in lui il grimaldello per scardinare le porte del santuario. Temo che tra le schiere dei suoi sostenitori ci siano molti incazzati che non hanno mai contato nulla nel loro partito (o che vorrebbero contare di più) e che in lui vedano non un leader ma un vendicatore. A me non piace e credo che sia addirittura pericoloso: l’innescatore del big bang finale. Esagero? Renzi è il frutto amaro della B generation, ovvero quella cresciuta all’ombra del qualunquismo berlusconiano. Ho visto una sua foto in stile pop-art in cui imita Elvis Presley. Aveva i pantaloni da vaccaro e la camicia a quadroni. Una bella idea che serve solo a far rumore, ad attirare l’attenzione. Pochi ideali, molta visibilità. Renzi è un mush-up (detto anche pop-bastardo): la traccia vocale del suo soliloquio è sovrapposta alla base musicale di un’altra canzone. Insomma nel linguaggio dei nativi digitali è un fake. Con il suo ossessivo richiamo a Blair pretende di essere la nuova sinistra, dimenticando di dire, purtroppo, che il premier inglese è quello che ha concretizzato la teoria di Giddens: oltre la destra e la sinistra. In questo Paese è già accaduto che qualcuno abbia governato plebiscitariamente oltre la destra e la sinistra, ponendosi come unico obiettivo la cura dei suoi affari.