Due uomini, due storie

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Quante volte vi è capitato di incontrare per caso un parente o amico di famiglia e fargli la fatidica domanda, “Che stai facendo?”, con il presupposto di informarvi sul suo lavoro? Quante volte avete ricevuto la solita risposta, “Sto inviando curriculum”, che vi ha lasciato con l’amaro in bocca? Se si tratta di un ragazzo che ha da poco terminato gli studi il vostro pensiero negativo è lenito dalla speranza di un lungo cammino da intraprendere in cui si possono cogliere insperabili e inimmaginabili opportunità. Se, invece, di fronte a voi c’è un adulto di quaranta o cinquant’anni lo sguardo si incupisce e cercate di non incrociare i suoi occhi pensando al vostro contratto a tempo indeterminato. Nella maggior parte dei casi l’imbarazzo scaturisce non solo dall’intimità del rapporto ma anche da un frustrante senso di colpa che comincia a farsi strada nel vostra coscienza quando vi rendete conto di non essere in grado di dargli una risposta valida, né di offrire una soluzione al suo problema. In quel momento maledite voi stessi e quell’insopportabile vizio di mettere in mezzo argomenti “scabrosi” che non potrete controllare. Infatti, mentre cercate affannosamente di fuggire via, la persona con cui chiacchierate vi sta dicendo che non riesce più a mandare avanti la famiglia. A quel punto riconoscete, nonostante la vostra posizione di italiano medio garantito, che il poverino, dopo aver lavorato per dieci o vent’anni presso un’azienda svolgendo sempre la medesima mansione e con una moglie ufficialmente casalinga (in realtà inoccupata), avrà serie difficoltà a mettere insieme i quattrini per arrivare a fine mese, anche perché nessuno dei figli lavora e, anzi, il tentativo di non farli sentire “diversi” è un ulteriore aggravio delle spese. Nel frattempo l’interlocutore è passato a snocciolarvi tutti gli uffici a cui ha inviato un curriculum vitae ed è disposto anche ad abbassare le sue pretese e a accettare un contratto precario a condizioni capestri pur di avere una fonte di reddito a cui aggrapparsi. La tensione sale alle stelle. Cominciate a temere di essere messi di fronte al vostro stesso imbarazzo nel momento in cui l’amico/parente vi chiederà se conoscete qualcuno che può dargli una mano. Fate di tutto per evitare quell’istante interminabile: guardate l’orologio, rigirate il telefonino tra le mani, osservate la punta delle scarpe o la signora affacciata la balcone, vi lamentate del tempo, chiedete se c’è un ufficio postale nei dintorni e via di seguito. La domanda tanto paventata alla fine non arriva. Salutate e proseguite sulla vostra strada più leggeri consapevoli di aver scampato un pericolo.

A dire il vero siete anche un po’ fieri del contegno mantenuto, dell’aver saputo esprimere la giusta solidarietà, di aver salvato la faccia senza promettere falsi impegni. Il disoccupato, intanto, è tornato a casa. La moglie lo aspetta per andare insieme a prendere la figlia più piccola all’uscita di scuola. Gli comunica che vorrebbe mettersi a vendere cosmetici a domicilio per conto di due amiche disposte ad aiutarla. La guarda impassibile, assistendo per l’ennesima volta alla scena di un film già visto, e, prima che riprenda a parlare, dice: “Sai oggi chi ho incontrato?”. Le racconta per sommi capi il dialogo e conclude: “Aveva la faccia tirata, come se avesse incontrato uno zombie. Era preoccupato che avessi potuto strappargli un piacere o farmi presentare qualcuno dei suoi amici per trovare lavoro, ma io lo avevo fermato solo per salutarlo, è stato lui a chiedermi cosa stessi facendo. Comunque meglio così uno meno a cui dare confidenza”. In quello stesso momento siete rientrati nell’ufficio pubblico in cui occupate una scrivania qualsiasi. Dopo aver varcato l’uscio, è già quasi mezzogiorno, vi affacciate nella stanza del collega a ritirare il vostro badge di riconoscimento. Vi informa che il dirigente ha bisogno di incontrarvi e sbotta: “Ma che fine hai fatto?”. La risposta è elusiva: “Sono andato dove sai e poi un terribile imprevisto, non me ne parlare!”. State girando i tacchi per andare dal capo quando l’altro vi urla dietro: “Ue, non ti dimenticare che domani devo fare quel servizio!” e, con annesso occhiolino, ribattete: “Nessun problema, dammi il badge e me la vedo io”.