Dove finisce il diritto di cronaca

GiornaliIl politicamente scorretto va di moda. Lo hanno introdotto da tempo nel nostro paese alcuni personaggi di dubbia fede che grazie alla propria notorietà si sono consentiti il dileggio, la battuta sessista, l’insulto. Da Ferrara a Sgarbi, da Buttafuoco a Feltri, la filosofia dell’offesa si è dispiegata alla grande lungo i canali dei talk show televisivi, nei titoloni della cronaca aggressiva e scandalistica, nel trollismo dell’universo web. Essere politicamente scorretto fa figo, fa sentire anticonformisti e “ganzi”, così si attacca la ragazza violentata, il disabile mentale, il gay, il diverso e gli episodi di bullismo lo dimostrano ogni giorno che passa. Una pericolosa deriva spesso targata a destra, ancora più grave quando se ne fanno interpreti persone che hanno qualche dovere in più,  come un direttore di un giornale o un addetto stampa istituzionale.  Nessuno crede più al mito del giornalismo ma l’episodio salernitano del titolo di “Cronache” sullo stupro ai danni di un minore, non si può derubricare come una svista o una caduta di stile di una cronaca distratta. Quando poi a quel titolo  fanno seguito non delle doverose scuse ma un altro articolo ancora peggiore contro il direttore di La Città e il grave silenzio della città democratica, allora c’è seriamente di che preoccuparsi. Vuol dire che siamo alla barbarie e che viene ignorato quell’insieme di conoscenze diffuse e di regole che fanno di un gruppo sociale una comunità civile. Se il direttore di un giornale non si rende conto che l’espressione “froci” abbinata a “pervertiti” è scorretta e omofoba, se si risponde parlando di “vizietto”, se si insiste e persiste e solo una parte della comunità (anche giornalistica) insorge, vuol dire che a Salerno mancano i fondamentali. Non è la prima volta infatti che si scivola su battute grevi di chiara marca sessista o che si indulge da parte della cronaca su fatti che riguardano la sessualità,  le disabilità, le minoranze. E la politica non è da meno: dalla “bambolina” alla giornalista bisognosa d’affetto,  le regole della correttezza vengono sistematicamente violate anche da chi dovrebbe dare il buon esempio. Qui però non si tratta solo di regole di civiltà, chiamare frocio uno stupratore è una grave violazione del diritto di cronaca sancito da regole internazionali ma anche inscritto dentro un preciso paradigma di limiti. Se la Cassazione ha ribadito che il diritto di cronaca deve rispettare i limiti della verità, della continenza e della pertinenza della notizia, l’Unione europea ha stabilito che la discriminazione si manifesta in discorsi intrisi di odio, dileggio, violenza verbale. In alcuni paesi tali condotte possono anche diventare fatti penalmente rilevanti e considerate aggravanti quando la discriminazione è la ragione stessa del crimine. L’espressione politicamente corretto quindi non è un vezzo radical chic ma deriva dagli Stati Uniti dove i diritti delle minoranze, neri, donne, omosessuali, sono stati il risultato di conquiste storiche  anche sanguinose, verso una maggiore giustizia sociale a cominciare da un uso rispettoso del linguaggio.  Un insieme di regole che riguardano la sfera stessa dei “diritti della persona” la cui prima soglia è un linguaggio appropriato. Utilizzare parole diverse a proposito degli handicap  non è una banalità progressista ma è il primo gradino della scala della solidarietà perché cambiando le parole cambiano la cultura e il costume. Non c’è bisogno di scomodare le varie teorie filosofiche del Novecento  per comprendere come la realtà si trasforma con le condizioni di uso del linguaggio o come essa sia costruita sulle abitudini linguistiche del gruppo. Cambiare il linguaggio significa quindi cambiare la visione del mondo e anzi il linguaggio è la visione del mondo. L’informazione inoltre ha delle precise responsabilità e non si può scrivere un titolo ad effetto per vendere qualche copia in più e accarezzando gli istinti peggiori senza valutare le conseguenze che produce in una determinata situazione. Abbinare “froci” e “pervertiti” in un caso di violenza su un minore innesca una esplosione di rimandi ad altri significati e parallelismi tra omosessualità e violenza, dirotta l’attenzione e altera la verità del fatto. Lo stupratore è tale perché “frocio” e chi è frocio è uno stupratore ma la violenza non ha nulla a che fare con i gusti sessuali, è violenza e basta e un violentatore tale resta che sia etero o gay.  La funzione del giornalismo è quella di informare la collettività ma a volte anche di “formarla” dando un quadro corretto di ciò che accade e la stampa locale può svolgere una importante compito per favorire la crescita di un territorio. Il titolo di “Cronache” ( e il successivo articolo) non solo è omofobo e offensivo (il che è già tanto) ma è una violazione sic et simpliciter del buon giornalismo perché dirotta l’attenzione dal fatto, lo stupro, ad altro – l’omosessualità - e induce in errore il lettore. Il giornalista ha il dovere di rispettare la persona  e di non discriminare nessuno – come del resto è sancito dalla Costituzione- come quello di correggere gli errori e i titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie non devono travisare, né forzare il contenuto degli articoli o delle notizie. Queste non sono "opinioni" ma le regole della "deontologia”,  parola  spesso dimenticata e che invece  dovrebbe essere importante per chi con le parole ci lavora. Quello a cui abbiamo assistito in questi giorni è un esempio deplorevole di cattivo giornalismo che cancella in un sol colpo  le tante inchieste coraggiose di cui  quello stesso giornale si è fatto spesso promotore. Ma insistere nell’errore significa solo che in quell’universo di non regole e di strafottenza civile che ci troviamo spesso a denunciare ci riconosciamo e che ci sta bene così.