Dopo le elezioni la terza repubblica?

di Carmine Pinto
Mancano due settimane alla fine della campagna elettorale. Probabilmente nella storia degli ultimi sessant'anni è difficile trovare una consultazione così profondamente concentrata sui leader degli schieramenti politici e così poco attenta alla battaglia locale e regionale. Allo stesso tempo, la personalizzazione della politica è un fenomeno antico come la Repubblica (o oltre). Questi ultimi giorni elettorali ci consentono quindi di osservare novità e continuità dello scontro in atto nel paese.

La prima autentica frattura, almeno secondo i sondaggi degli ultimi mesi, riguarda il bipolarismo, una delle maggiori novità degli anni novanta. Infatti, dopo la sconfitta di Segni e Martinazzoli nel 1994, per ben 4 elezioni politiche (ed innumerevoli altre consultazioni), non c'erano mai state serie minacce all'equilibrio tra centro destra e centro sinistra. Anche i partiti che dopo il voto causavano profonde lacerazioni tra i Poli, erano vincolati alle formazioni maggiori per ottenere l'elezione. Invece, questa volta, almeno tre forze possono entrare autonomamente alle Camere, con risultati notevoli: il Movimento 5 stelle, il centro di Monti e la sinistra radicale di Ingroia. Questo pone due problemi cruciali. Saranno queste forze capaci di determinare il gioco parlamentare e la determinazione della maggioranza di governo? Inoltre avranno la capacità di organizzarsi, superando il momento congiunturale e diventando soggetti permanenti della politica italiana?

La seconda frattura riguarda il profilo del governo del paese. Nei 17 anni passati (1994-2011) centro destra e centro sinistra avevano molte differenze, nello stile e nella pratica della conduzione dell’esecutivo ma, nel fondo, hanno mantenuto poi distanze molto accettabili. Entrambi si sono confrontati con un mondo totalmente diverso da quello della Guerra fredda e del Miracolo economico, cercando un complicato equilibrio tra debito e spesa pubblica, istituzioni europee e politica fiscale, capitalismo privato e riduzione dello stato sociale. Anche differenze più marcate, come in politica estera, sono progressivamente quasi scomparse. Il governo Monti ha fatto una rottura concreta con la mediazione di questa stagione, scegliendo la linea di radicalizzare il tema della riduzione del ruolo pubblico, stimolando la politica fiscale ed esasperando il vincolo europeo e filo tedesco. Chi governa dovrà fare i conti, con questa frattura. La questione è: sceglierà di abbracciarla o di negarla? In ogni caso, il vincitore difficilmente potrà tornare alla mediazione degli anni passati.

La continuità riguarda invece i gruppi dirigenti dei partiti maggiori e il loro profilo politico. La sconfitta di Renzi nel Pd e il ritorno in campo di Berlusconi nel Pdl hanno riportato le leadership indietro di vent’anni ed oltre. Certo, non mancano giovani e nuove candidature in entrambi i partiti, ma i vertici sono in gran parte espressione della nomenklatura politica ed economica affermata in Italia negli anni Ottanta e capace di superare indenne la crisi del '92-'94. Inoltre la scelta del Pd e del Pdl di impedire la riforma della legge elettorale, ha consentito il congelamento dei rapporti di forza interni e, soprattutto, di quei processi decisionali che da vent'anni concentrano nelle centrali romane tutte le scelte che, sistematicamente, devastano territori e soggetti autonomi. Ogni passaggio, in ogni caso, è sempre una combinazione di rotture e di permanenze. Il rapporto tra queste, nei prossimi mesi ed anni, ci dirà se continueremo la vecchia fase politica o ne inizieremo una nuova.

pubblicato su "la Città" del 9 febbraio 2013
Mancano due settimane alla fine della campagna elettorale. Probabilmente nella storia degli ultimi sessant'anni è difficile trovare una consultazione così profondamente concentrata sui leader degli schieramenti politici e così poco attenta alla battaglia locale e regionale. Allo stesso tempo, la personalizzazione della politica è un fenomeno antico come la Repubblica (o oltre). Questi ultimi giorni elettorali ci consentono quindi di osservare novità e continuità dello scontro in atto nel paese.
La prima autentica frattura, almeno secondo i sondaggi degli ultimi mesi, riguarda il bipolarismo, una delle maggiori novità degli anni novanta. Infatti, dopo la sconfitta di Segni e Martinazzoli nel 1994, per ben 4 elezioni politiche (ed innumerevoli altre consultazioni), non c'erano mai state serie minacce all'equilibrio tra centro destra e centro sinistra. Anche i partiti che dopo il voto causavano profonde lacerazioni tra i Poli, erano vincolati alle formazioni maggiori per ottenere l'elezione. Invece, questa volta, almeno tre forze possono entrare autonomamente alle Camere, con risultati notevoli: il Movimento 5 stelle, il centro di Monti e la sinistra radicale di Ingroia. Questo pone due problemi cruciali. Saranno queste forze capaci di determinare il gioco parlamentare e la determinazione della maggioranza di governo? Inoltre avranno la capacità di organizzarsi, superando il momento congiunturale e diventando soggetti permanenti della politica italiana?
La seconda frattura riguarda il profilo del governo del paese. Nei 17 anni passati (1994-2011) centro destra e centro sinistra avevano molte differenze, nello stile e nella pratica della conduzione dell’esecutivo ma, nel fondo, hanno mantenuto poi distanze molto accettabili. Entrambi si sono confrontati con un mondo totalmente diverso da quello della Guerra fredda e del Miracolo economico, cercando un complicato equilibrio tra debito e spesa pubblica, istituzioni europee e politica fiscale, capitalismo privato e riduzione dello stato sociale. Anche differenze più marcate, come in politica estera, sono progressivamente quasi scomparse. Il governo Monti ha fatto una rottura concreta con la mediazione di questa stagione, scegliendo la linea di radicalizzare il tema della riduzione del ruolo pubblico, stimolando la politica fiscale ed esasperando il vincolo europeo e filo tedesco. Chi governa dovrà fare i conti, con questa frattura. La questione è: sceglierà di abbracciarla o di negarla? In ogni caso, il vincitore difficilmente potrà tornare alla mediazione degli anni passati.
La continuità riguarda invece i gruppi dirigenti dei partiti maggiori e il loro profilo politico. La sconfitta di Renzi nel Pd e il ritorno in campo di Berlusconi nel Pdl hanno riportato le leadership indietro di vent’anni ed oltre. Certo, non mancano giovani e nuove candidature in entrambi i partiti, ma i vertici sono in gran parte espressione della nomenklatura politica ed economica affermata in Italia negli anni Ottanta e capace di superare indenne la crisi del '92-'94. Inoltre la scelta del Pd e del Pdl di impedire la riforma della legge elettorale, ha consentito il congelamento dei rapporti di forza interni e, soprattutto, di quei processi decisionali che da vent'anni concentrano nelle centrali romane tutte le scelte che, sistematicamente, devastano territori e soggetti autonomi. Ogni passaggio, in ogni caso, è sempre una combinazione di rotture e di permanenze. Il rapporto tra queste, nei prossimi mesi ed anni, ci dirà se continueremo la vecchia fase politica o ne inizieremo un