Dacia Maraini, la scrittrice delle donne

dacia-maraini'Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio' scrive nel suo 'La lunga vita di Marianna Ucrìa' che le è valso il premio Campiello nel 1990. Ed è proprio cosi, avvolgente, caldo e rassicurante, lo sguardo di Dacia Maraini.
Nata a Fiesole il 13 novembre del 1936, Dacia Maraini è un'autrice fuori da ogni categoria, che ama entrare in ogni mondo, superando i confini, arrivando ovunque. Si presenta con il carico delle sue esperienze e con la sua illimitata ricchezza intellettuale. Ammalia con le parole, con una dolcezza mista a determinazione e saggezza.
Una vita di sofferenza, la sua, di lotta e di conquista. L'infanzia in un campo di concentramento in Giappone - dove Fosco Maraini, suo padre, celebre entomologo, aveva condotto l'intera famiglia per motivi di lavoro - le ha lasciato il segno, tra stenti, malattie, fame e privazioni. E poi il ritorno in Italia e la lunga permanenza in Sicilia e poi ancora Roma, dove raggiunge il papà.
Il fil rouge della sua vastissima opera - che spazia dal teatro alla saggistica, dalla poesia ai romanzi - sta nel dare voce alle emozioni che si intrecciano al vissuto, al dolore, alla sofferenza e alla passione. Dacia Maraini da espressione alla forza, nei suoi scritti così come nel suo vissuto, attraverso l'impegno sociale, la lotta contro le mafie, per il diritto alla legalità, ma soprattutto con l'impegno in prima linea nella battaglia contro la violenza e i soprusi sulle donne.
Nel suo ultimo libro, 'L' Amore rubato', Dacia Maraini racconta storie vere di amore deviato, storie forti di uomini che possono apparire normali ma che confondono l'amore con il possesso e si rivelano mostri capaci di ogni atrocità - e in questo senso 'rubano l'amore' delle proprie compagne, rendendole schiave - e di donne che si ostinano a coprirne gli abusi subiti, con la forza di chi caparbiamente vuol far sopravvivere una relazione e al contempo la debolezza di chi è incapace di denunciare e si chiude nel silenzio accettando il suo stato di soggezione. Otto vicende di dolore in cui l'egoismo, l'ossessione e l'insicurezza sfociano nella violenza più cupa.
Da dove arriva tanta violenza?
"Non è una questione di genere. C'è una cultura che favorisce la violenza. Un bambino non nasce picchiatore o violentatore, ma lo diventa. Nel corso della storia gli uomini sono stati incoraggiati all'uso della violenza, anche se per natura non sono più violenti delle donne. Nella nostra società regna ancora la cultura dell'uomo-padrone, che porta avanti la famiglia. C'è chi pensa 'se amo, possiedo, quindi la mia donna è una mia proprietà'. E se l'uomo è convinto di questo principio, quando viene abbandonato uccide e spesso sente anche l'impulso a tentare il suicidio, perchè non accetta di aver subito un torto, di essere stato vittima e non carnefice. Non accetta di riconoscere la sua debolezza nella società, rispetto alla volontà e alla forza di una donna".
Come si può combattere il fenomeno del femminicidio?
"Si inizia dalle scuole, con l'insegnamento e la cultura. Insegnando ai bambini il rispetto dell'altro e che amore non significa possesso. Anche la Chiesa è responsabile di uno stato di arretratezza vissuto in Italia: ha stabilito delle gerarchie in cui le donne sono state penalizzate. Bisogna lavorare sul messaggio da trasmettere alle nuove generazioni".
Quanto è importante leggere?
"I libri sono una grande ricchezza. Chi legge un libro lo riscrive, perchè leggendo si rende protagonista di una storia, ricreandola fin nei dettagli. Io mi trovo molto bene in mezzo ai libri. Per me, scrivere è importante quanto leggere. Il pensiero si dissolve, fissarlo è importante. La coscienza, in Agostino come in Bergson, è la memoria. La memoria personale si mette in collegamento con la memoria collettiva. Entrambe devono incrociarsi attraverso la lettura".
La cultura e la scuola. In Italia come siamo messi?
"Siamo il Paese europeo che investe meno in cultura. E' un segnale gravissimo. Come quello delle biblioteche che chiudono. Se vogliamo che il Paese progredisca e riesca a tirar fuori persone con le competenze, dobbiamo investire. Le scuole di oggi, fatiscenti e maltrattate, dimostrano che la politica non crede nell'importanza della cultura. Mancano di prestigio, di sacralità, sono abbandonate a se stesse. Le grandi società avanzate investono nella scuola. In Italia, invece, assisitiamo ad un'emorragia continua di cervelli: i ricercatori sono costretti ad andare all'estero a lavorare. Ma servirebbero qui. E spetta ai cittadini chiedere a gran voce che la scuola diventi luogo di cultura viva e protestare per proteggere il patrimonio culturale italiano".
C'è differenza tra il modo di scrivere di un uomo e quello di una donna?
"La differenza c'è e sta nel punto di vista, nell'ottica diversa. L'uomo, ad esempio, guarda all'amore a modo suo, mentre la donna tende a non separare l'elemento sessuale da quello sentimentale. Questo capita perché gli uomini hanno avuto una storia differente. Ancora oggi le donne risentono del destino che hanno subito, del ruolo secondario in cui la storia e la Chiesa le hanno relegate, creando la differenza di genere. La maternità, la famiglia, il lavoro sono costruzioni culturali. Non c'è una fissità nella separazione dei compiti tra maschi e femmine, che infatti cambiano da un popolo ad un altro. Lo stile, invece, è un fatto personale. La sobrietà, ad esempio, non è riconducibile per forza ad una donna. Elsa Morante era una scrittrice barocca ed esotica, ma molte altre sono state sobrie e spartane".
Cosa pensa Dacia Maraini delle quote rosa in politica?
"Non sono contraria. Mi sono sempre battuta per i diritti delle donne e in questo senso penso che le quote rosa siano un'opportunità per aprire una strada che altrimenti rischierebbe di rimanere preclusa - anch'essa - alle donne".