Compro Oro e vendo la dignità

compro-oro-fondo-negro1

Vi siete mai imbattuti in un volantino di un esercizio commerciale che acquista oro usato? Il messaggio principale è legato a due semplici frasi: «Pagamento immediato» e «Massima valutazione». Le due espressioni sono supportate da due fotografie facilmente individuabili. La prima, di solito in alto, è un fascio di banconote da cento, cinquanta e venti euro; la seconda, non meno visibile, è una banale riproduzione di due lingotti d’oro incrociati. La sequenza tra parole e immagini non è casuale. La comunicazione principale è affidata alla istantanea monetizzazione della transazione. In poche parole si cerca di conquistare l’attenzione del potenziale cliente facendo scattare un meccanismo psicologico di questo tipo: «Tu mi porti l’oro, io te lo valuto ad un buon prezzo e ti pago subito; così quando esci dal negozio hai una cifra in contanti da spendere immediatamente per acquistare ciò che più desideri». Sembra proprio un buon affare che può produrre effetti benefici allo stallo economico: da un bene immobilizzato si ricava liquidità monetaria da rimettere in circolazione a beneficio di altre attività commerciali. Ne siamo proprio sicuri?

Come ha rilevato “L’Espresso”, in un’inchiesta dello scorso giugno, in Italia esistono 28mila “Compro Oro” (uno ogni 13mila abitanti) che movimentano 400 tonnellate di metalli preziosi. Nella nostra provincia ci sono circa 400 oreficerie. Alcune sono antiche botteghe dalla lunga tradizione familiare (non ci si improvvisa esperti di metalli e pietre preziose), gli altri sono affaristi che hanno colto al balzo l’impoverimento causato dal tracollo economico per trarne profitto. La crisi ha sempre una doppia faccia: da un lato c’è chi arranca onestamente, dall’altro chi gode i frutti di uno sfacciato opportunismo. Ma chi sono i clienti di questi “benefattori” che anche a Salerno sono cresciuti come funghi? I soggetti maggiormente propensi a cedere alla tentazione sono i pensionati. Il misero mensile con il quale sono costretti a vivere li spinge a liberarsi degli oggetti preziosi accumulati nel corso della vita. Chiudono in un sacchetto braccialetti, collanine, medagliette, cammei, anelli, orecchini, orologi (magari proprio quello che i colleghi gli hanno regalato al termine dell’ultimo giorno di lavoro) e in qualche caso le fedi (non era bastato il fascismo?) e si dirigono verso uno di questi negozi con neon luminosi e marmi splendenti dove sono attesi da commesse cortesi ma addestrate alla furbizia. Mi è capitato di vedere davanti ad un “Compro oro”, nella zona alta della città, un signore distino che si guardava intorno spaesato mentre attendeva di entrare. Molto probabilmente non aveva mai considerato l’eventualità di dover contrattare con un estraneo il prezzo dei suoi oggetti preziosi, i quali, oltre al valore intrinseco, erano carichi di sensazioni emozionali legate a momenti di vita vissuta (un matrimonio, una nascita, un battesimo, un successo professionale) che rendeva ancora più difficile la separazione. Ammetto di essermi fermato a guardare la scena sbirciando tra i riflessi delle vetrine. L’anziano aveva il capo piegato e disponeva con cura i suoi beni sul bancone. La signorina dava un’occhiata fugace e li metteva via. Non mi pareva proprio un valutazione accurata. Quando l’uomo è uscito dal negozio ha salutato sorridendo la commessa ma aveva gli occhi tristi. Quanto avrà guadagnato dalla vendita? Come avrà speso quei soldi? Non lo so, ma posso immaginarlo. Sarà andato di corsa alle poste a mettersi in fila per pagare una sfilza di bollette e la maledetta Imu. Onorate tutte le scadenze si sarà fermato a fare la spesa andando alla ricerca delle migliori offerte. Alla fine gli saranno rimasti dieci euro in tasca. Ha guardato la banconota e l’ha messa da parte, nel taschino della giacca, pensando di regalarla al nipote che di tanto in tanto lo va a trovare.