Ciro, riposa in pace

In queste ore così amare, dove registriamo la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito, a seguito di colpi di arma da fuoco, la sensazione di estrema amarezza che sto provando mi rimanda indietro nel tempo e più precisamente ai tragici fatti del 24 maggio 1999 quando, a perdere la vita per l’ennesima partita di calcio, furono quattro giovani tifosi della Salernitana. I fatti di quel giorno li ricordiamo tutti, due o più giovanissimi appiccarono il fuoco sul treno che riportava a Salerno poco più di 1.500 tifosi granata dall’infausta trasferta di Piacenza, dove la Salernitana aveva perso la serie A dovendo così ritornare a giocare nella serie cadetta, e per questo gesto criminale persero la vita altrettanti ragazzi: Simone Vitale, Ciro Alfieri, Vincenzo Lioi e Giuseppe Diodato.
Sono trascorsi quindici anni da quei fatti, ma ci ritroviamo nuovamente a dover commentare episodi di estrema violenza, episodi di guerriglia urbana che nulla dovrebbero avere a che fare con lo sport.
Così come allora, dopo l’immediata commozione, è cominciata la caccia alle streghe, la ricerca dei colpevoli o la proposta di soluzioni da utilizzare come ricette buone per tutte le stagioni: “Chi ha sbagliato deve dimettersi”, “Cacciare i delinquenti dallo stadio”, “Leggi speciali come con gli hooligans”, “Lo spunto per riflettere sugli errori commessi dal prefetto alle istituzioni sportive”. Ovvio, chi materialmente ha compiuto questo gesto criminale deve rispondere alla giustizia e ricevere la giusta condanna, non può restare impunito chi si reca allo stadio con una pistola per sparare ad un tifoso avversario. Chi ha poi altre responsabilità, come potrebbero essere quelle del prefetto o del questore di Roma, di chi cioè doveva organizzare in modo adeguato la salvaguardia dell’ordine pubblico è giusto che risponda per eventuali mancanze senza ricevere sconti. Ma in questi momenti, così come accadde all’indomani di quel 24 maggio, nessuno ha avuto il buon gusto di affermare che di questo ennesimo episodio di violenza siamo tutti co-responsabili. Soprattutto il calcio non risponde più a quei valori di lealtà e semplicità che l’incompreso e abbandonato Agostino Di Bartolomei invocava nel suo “Manuale del calcio”. Se siamo giunti a questo punto dove qualcuno va allo stadio per sparare all’avversario considerato, oramai, un nemico da eliminare, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto il sistema educativo di un Paese ed esasperato i toni in ogni ambiente. Siamo un Paese che non ha più simboli, o forse non ne ha mai avuto, nei quali riconoscersi. Chi non rispetta le regole non incorre in alcuna sanzione o può riuscire ad eluderle con furbizia. Tutti i protagonisti del baraccone calcio preferiscono le scorribande ad una dialettica cordiale e corretta. Chi ha la maglia di un colore diverso può essere preso a morsi o a calci, offeso e screditato proprio come avviene nell’aula parlamentare di questa Nazione unita, semplicemente, con la forza. I giornalisti, purtroppo, alzano inutilmente i toni. In fondo se si perde si tratta solamente di una partita di calcio e di nient’altro. Ma da quel 24 maggio non credo siano stati fatti importanti e concreti passi in avanti. Di questo dobbiamo vergognarcene.
La morte di Ciro Esposito ha una drammatica analogia con quella di Simone Vitale, uno dei quattro di quel maledetto treno. Entrambi si sono preoccupati di anteporre la vita degli altri alla propria. Ciro è accorso in difesa di altri tifosi napoletani aggrediti da quelli giallorossi, che poi nulla avevano da condividere con quella finale di Coppa Italia, mentre Simone Vitale entrò all’interno del vagone in fiamme per salvare altre vite umane. Entrambi hanno poi incontrato inspiegabilmente la morte a causa di un’assurda partita di calcio. In queste ore dove tutti i media si stanno dedicando a questa vicenda, ho colto la dichiarazione di un tifoso azzurro che ad una radio ha dichiarato: “Da domani ogni volta che mi recherò allo stadio sventolerò quella bandiera ricordando Ciro, perché niente sarà come prima”. E’ vero, da oggi anche per i tifosi del Napoli niente sarà come prima, qualsiasi vittoria sportiva vivranno da qui all’eternità. Tutto sarà vissuto con più equilibrio, meno enfasi. Così come avvenuto a Salerno, probabilmente, in tanti abbandoneranno le gradinate dello stadio, rinunceranno a trascinare con sé i propri figli nella condivisione di un amore sportivo. Quando, però, avremo capito perché avviene tutto questo sarà, purtroppo, troppo tardi.
Ciro, riposa in pace.