Chi comanderà in Campania nel 2013?

di Carmine Pinto
Le elezioni primarie contengono domande interessanti per la nostra politica regionale. La prima riguarda i termini della partecipazione. Le tre esperienze precedenti hanno registrato centinaia di migliaia di elettori. Sarà importante comprendere se questa adesione sarà confermata o se ci saranno numeri diversi. Il secondo quesito è il tipo di risultato dei candidati. Praticamente l’intero partito campano è schierato e mobilitato per Bersani. Deputati, sindaci, dirigenti e uomini delle macchine amministrative, ex pidiessini e ex democristiani, sono tutti in prima fila per il segretario. Renzi ha mobilitato un po’ di forze giovani e tanti professionisti entusiasti ma, tranne pochi amministratori di piccoli centri, è completamente escluso dagli apparati che contano. Infine Vendola ha un discreto seguito in Campania, sia con il suo partito che tra settori militanti della sinistra storica, ma non tale da mettere in discussione il primato dei dirigenti del Partito democratico.

Schieramenti di questo tipo, normalmente, lasciano poco spazio alla fantasia. I rapporti di forza sono talmente squilibrati da considerare quasi scontato il risultato e da confinarlo esclusivamente al rendiconto nazionale. Al contrario, nelle consultazioni precedenti, le forze interne al partito si erano misurate frontalmente, pur restando spesso all’interno della maggioranza nazionale. Nel 2007 da un lato c’era l’asse Bassolino De Mita e dall’altro i loro numerosi (e perdenti) nemici. Nel 2009 invece Bassolino e i suoi si scontrarono con De Luca e l’opposizione interna, vincendo di misura. In tutti i casi, la mobilitazione generale era più diretta alla conquista della leadership regionale che ai problemi della battaglia politica nazionale. E lo scontro fu sempre duro, determinando conseguenze decisive nel sistema politico campano. Nel primo caso si consolidò l’asse che governava la Campania e la sua forza nella contrattazione con Roma. Nel secondo, invece, lo sconfitto De Luca mise però in campo una alternativa alla classe dirigente regionale, una ipotesi che sarebbe stata poi disponibile, l’anno successivo, per tentare di conquistare il governo campano.
Le primarie di domani, apparentemente, non hanno un significato così forte. L’assenza di liste collegate ha reso impossibile una conta tra i bersaniani. Il gruppo dirigente è così compatto da non lasciare spazio agli avversari. Eppure le cose non sono così scontate. La posta in gioco c’è ed è alta. La prima tappa sono le elezioni politiche. Il giorno che verranno proclamati i risultati, bisognerà scegliere i candidati alla camera e al senato e, solo tra i bersaniani, gli aspiranti superano di molto i posti disponibili. Immediatamente dopo ci sarà la resa dei conti per le province e poi per la regione. Il Pd vuole riconquistare il potere in Campania e la crisi del Pdl lascia molte possibilità aperte in questa direzione. Questo spiega le forti tensioni che emergono dietro un voto apparentemente sereno. La mobilitazione militare di settori bersaniani, le proteste dei renziani di fronte all’intervento pesante dei sostenitori del segretario, lo scontro su chi si siede con Bersani, sono solo una piccola spia di questo scenario. La vera partita questa volta si gioca tra Napoli e Salerno, con le altre province in retroguardia. Chi sarà capace di mostrare consenso e affidabilità politica potrà ottenere il riconoscimento del vincitore e entrare in campo nella prossima partita. Determinare l’azione del Pd significa, per molti, conquistare la Campania ed un palcoscenico nazionale. I voti di domani, la gestione del risultato, le alleanze interne, la visibilità dei leader, per gli uomini forti del Pd, hanno questo significato e difficilmente si potranno ribaltare. Chi saprà gestire la vittoria, vorrà comandare in Campania, dal 2013.

pubblicato su "la Città" del 24 novembre 2012