C'era una volta una perla di lungomare

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Pochi salernitani sanno che ventisette anni fa, uno dei primissimi atti del Consiglio comunale, dopo l’elezione a sindaco di Vincenzo Giordano da parte di una maggioranza includente per la prima volta i comunisti, fu l’approvazione del Master Plan per la sistemazione del litorale cittadino. La Delibera era la n. 48 del 22 maggio 1987. Se ne era persa memoria. La “scoperta”, per così dire, è stata fatta quasi per caso, sbirciando tra i numerosi disegni (tutti rigorosamente a mano) esposti nella sala del Circolo Canottieri Irno nel corso di un’interessante iniziativa dell’Ordine degli Architetti di Salerno sul tema “dalla matita al mouse”: generazioni di architetti a confronto. Attratto da immagini “familiari” a un salernitano, l’occhio si è subito fermato sopra una sorta di grande gouache  riproducente l’arco appena abbozzato del fronte-mare di Salerno che va dalla spiaggia di Santa Teresa all’attuale rotatoria di via Allende. Un disegno a mano il cui originale, in scala 1:2000, misura ben nove metri di lunghezza.  A questo Master Plan, commissionato a un team di architetti e ingegneri dalla Giunta-Scozia, lavorarono 7 architetti (Carpentieri, Buffo, Manzoni, Petti, Plachesi, Tolve, Villani ) e 4 ingegneri (Carrozza, Di Giuda, Fortunato, Sessa). Tutti salernitani. L’ipotesi progettuale opzionata si scontrava con un problema antico della conformazione geografica della città, caratterizzata da due grandi assi viari che la attraversano da ovest ad est e da nord a sud. La difficoltà a conferire circolarità al movimento veicolare ha sempre rappresentato l’ostacolo a una soluzione ottimale della mobilità urbana. L’idea di trasformare l’intero percorso del lungomare (i circa 9 Km. che corrono dalla Villa comunale alla rotatoria di via Allende) ha rappresentato per amministratori e cittadini il sogno nel cassetto – considerata la fama di cui era stato oggetto il primo tratto negli anni ’60 – impedendo che fosse archiviato. Così, per far ripartire il progetto del prolungamento del Lungomare, si prese spunto dal fatto che, con i primissimi provvedimenti della Giunta-Giordano, si era approvata una nuova armatura stradale urbana (gomma-ferro) definita dal 1° e 2° tratto del Trincerone, dalla Lungoirno e dalla Metropolitana leggera che, raccordandosi alla Tangenziale e al tratto di autostrada urbanizzabile (tra San Mango e Fratte) avrebbe permesso di costruire una nuova circolarità in cui far confluire le esigenze di mobilità delle Frazioni alte della città. Ovviamente, un Master Plan non è un Progetto Esecutivo, ma è uno strumento di definizione delle linee guida per il riassetto di una determinata sezione di territorio. Quello che balza agli occhi – e che colpisce a vederlo scritto in un documento approvato non dalla Giunta bensì dell’intero Consesso comunale, quasi 20 anni prima dell’adozione del PUC di Bohigas –  è che il Progetto di “Parco Urbano del front-line” nasceva all’interno della Manovra Urbanistica “tesa al riequilibrio del territorio comunale, ricostruendo la città dal suo interno”. Questa idea –  condivisa per esempio, solo oggi, da Renzo Piano – postula che “invece di ampliare le città eccessivamente verso le periferie, vanno riqualificate fin dal nucleo dove palazzi, condomini e strutture di vario genere necessitano di essere ristrutturate, talvolta demolite e ricostruite, altre volte completamente rinnovate e sostituite con progetti fondati su nuove logiche e nuove tecnologie” (dal Blog ralph-dte.eu). Che è esattamente quello che si sarebbe dovuto fare nella trama edificata della città, almeno in via di principio. Ma quale strada seguire per raggiungere l’obiettivo  di “aprire la città verso il mare”, come da allora si cominciò a profetare? La soluzione suggerita dal team di progettisti fu di proporre l’interramento di tratti della litoranea (dalla Villa comunale a Piazza Cavour – Nucleo 1 -, tra le Piazze Mazzini e Concordia – Nucleo 2 e nella zona del lungomare Colombo antistante la Caserma Angelucci – Nucleo 3). Un intervento di questo tipo – assicuravano i tecnici – avrebbe permesso di recuperare in superficie nuove zone da pedonalizzare, ponendole in diretto contatto con il mare. In sostanza ci si proponeva di far nascere nuove superfici pedonabili e di ricavare  nel sottosuolo aree di parcheggio pertinenziali e pubbliche, senza intaccare le aree a verde, prevedendo l’interramento delle strade in corrispondenza delle Piazze (Cavour, Mazzini, Concordia e Caserma Angelucci). Questa, in sostanza, la previsione nelle prime 3 aree di intervento (chiamate Nuclei nel Master Plan). Da Piazza Cavour, allargata con una Terrazza- Rotonda sul mare, partiva il congiungimento del lungomare con la Villa comunale (perfettamente integrati). Sotto Piazza Amendola avrebbe trovato posto un parcheggio con accesso da via Roma. Così pure underground la grande area libera dove oggi sorgono Piazza della Libertà e il contestatissimo Crescent sarebbe stato realizzato un Terminal Bus, a memoria che poco più avanti, negli anni ’50 e ’60, i salernitani, nella traversa ora pedonalizzata del Verdi, trovavano il Capolinea della So.me.tra. Tutta l’area sovrastante trovava sistemazione a verde pubblico, in prosecuzione dei giardini del Lungomare Trieste. Nel Nucleo 2 di intervento (area che dal Palazzo delle Poste arriva a Piazza della Concordia) era previsto ancora l’interramento della strada in prossimità dell’attuale Bar Canasta, il congiungimento dell’area delle due Piazze (Mazzini e Concordia), con sottostanti aree di parcheggio, shopping e persino un tapis roulant  che unendo i parcheggi alla Stazione centrale colmava il sogno di realizzare lo scambio nella mobilità ferro-gomma. Poco più avanti, alla foce dell’Irno, dove per la presenza di acqua salmastra un tempo crescevano i papiri, era prevista la rigenerazione dell’ambiente naturale scomparso. Il 3° Nucleo di intervento comprendeva la zona che va dal Bar Marconi al Porticciolo di Pastena. Anche qui era ipotizzato l’interramento della strada più o meno all’altezza del bar, e il ritorno in superficie alla fine dell’area della Caserma Angelucci. Non venivano toccate le preesistenze abitative, trovava sistemazione a verde pubblico l’intera vasta area e veniva tracciato un asse di collegamento con via Torrione e di là verso la Tangenziale. Erano previste protezioni a mare verso la scogliera (con utilizzo di massi naturali) nonché la costruzione di un’ulteriore scogliera a tutela della costa e di un ridotto spazio per ormeggi nello specchio d’acqua del Lido Caravella. Nei Nuclei 4 e 5, in pratica nell’area che va grosso modo dalla fine dell’attuale Polo Nautico alla Foce del torrente Fuorni, i progettisti avvertivano di non poter fare previsioni specifiche circa le modalità di sistemazione dell’enorme superficie, senza poter disporre delle risultanze di studi meteo-marini. Un’idea però la lanciavano: costruire un Parco intorno al torrente Fuorni e integrarlo con un’area fieristica permanente per la barca, con un Museo ad essa dedicato, un porto turistico di supporto e relative strutture ricettive. Quali conclusioni trarre da questo studio vecchio ormai di circa trent’anni? La prima è che in una città dove si è progettato anche come fare i coperchi alle pentole, non si è finora commissionato uno studio d’insieme di tutto il lungomare da Santa Teresa a Fuorni. Si è affidato a Bofill il ridisegno dell’area di Santa Teresa (con il noto risultato) e di Piazza della Concordia (dove almeno il primo progetto di Bofill prendeva da questo coordinato dall’architetto Giovanni Carpentieri l’idea di interrare passim il lungomare) e a Ruiz-Sanchez-Maiorino quello di ripensare il litorale orientale. Mentre forse sarebbe stato opportuno che, pur riconoscendo la necessità di conservare il valore “storico” del lungomare Trieste, si fosse affidato alla stessa mano anche il disegno del tratto orientale che allo stato non presenta uno stile preciso. E pur non disponendo di elementi di dettaglio circa la soluzione tecnica che si sarebbe data all’esecuzione degli interventi suggeriti, bisogna riconoscere che essersi riferiti nella redazione delle linee guida alla scuola di Kevin Andrew Lynch, l’architetto-paesaggista di Chicago che da giovane si formò nello studio di Frank Lloyd Wright, ha lasciato traccia nelle idee e nei disegni (a mano) qui pubblicati: interventi miti, mai invasivi, rispettosi del contesto, volti a migliorare e non a stravolgere l’esistente. Con un solo “incolmabile” difetto: essere un prodotto italiano. Anzi, tutto salernitano.