Bestiario d'artista

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Atto primo. Scena uno. Nei dintorni di piazza S. Francesco. Un ragazzo, capello gelatinato e camicia sgargiante aperta sul petto depilato, è alla guida di una potente auto con stereo a palla. Al suo fianco la truccatissima fidanzata: labbra a cuoricino, scollatura vertiginosa, push-up ed extension biondo platino. Un uomo sulla quarantina sta rincasando. Davanti al portone del condominio in cui vive viene abbordato dal giovanotto: “Scusa bello, ma qua dove c**** si può parcheggiare?”. La risposta è scontata: “Dove trovi posto”. Il bellimbusto, dopo uno sguardo d’intesa con la Barbie di periferia alla quale sembra dire “Ma chist’è tutto scemo!”, chiede un ulteriore consiglio: “Senti ma se la parcheggio davanti a questo passo carrabile – indicandolo – do fastidio a qualcuno?”. Altra risposta scontata: “Sicuramente al proprietario se deve uscire con l’auto”. Il ragazzo incalza: “Ma tu sai se deve uscire qualcuno da ‘sto c**** di garage?”. L’interlocutore, ormai infastidito, ribatte: “Non saprei, non conosco il proprietario, né francamente la cosa mi riguarda”. L’altro (urlando): “Ma addo’ l’aggia mettere sta sfa***** ‘e machina, mo ‘a lascio proprio ‘ngop ‘o marciapiede e nun se ne parla chiù”. L’interlocutore, per nulla turbato, gli dice: “Fai come vuoi. Se sei abituato a parcheggiare davanti ai passi carrabili o sui marciapiedi non m’interessa, anzi, per quanto mi riguarda, se proprio lo vuoi sapere, puoi pure tornartene dal paese da cui sei venuto” e chiude il portone alle sue spalle.
Atto primo. Scena due. Via Roma. Una famigliola (padre, madre e due figli), dopo aver percorso, in lungo e in largo, i luoghi del “giardino incantato”, si sono fermati a rifocillarsi prima di affrontare il titanico corpo a corpo della villa comunale. Ci vogliono le giuste calorie per evitare di essere sopraffatti dalla calca che spinge, sgomita, urla e preme pur di scattare l’agognata foto. I quattro si sono accampati tra due automobili: la madre poggia le grosse terga sul portabagagli dell’auto anteriore; i figli sono stravaccati, a mo’ di pic-nic, sul cofano di quella posteriore; il padre, vista la mole, occupa il tettuccio della stessa autovettura. Finalmente sono riusciti a godere anche loro di questo magnifico spettacolo spezzando la monotona vita da sobborgo metropolitano. La mamma premurosamente distribuisce i panini avvolti nella carta stagnata: prima i pargoli, poi il marito e, infine, la sua razione. Il pasto è accompagnato da una bottiglia d’acqua minerale, anche quella estratta dalla magica borsa. Mentre i due bambini rotolano sul cofano, i coniugi discutono sulla prossima tappa, tra un boccone e l’altro, masticando a bocca aperta per non perdere fiato. Passando da quelle parti una comitiva di giovani donne salernitane sorride vedendo la scena. Il padre, ferito nell’onore, sente il dovere (un dovere smosso dalla vergogna) di difendere la famiglia: “Che c**** mi ridete, iatevenne ‘sti quatte str****” (con un’inflessione dialettale che svela il territorio d’origine). Le donne ammutolite fuggono via. L’uomo, conclusa la sfuriata, si aggiusta i pantaloni tirandoli dalla cintola e torna ad appoggiare i gomiti sul tettuccio, strappando un altro boccone.

Atto secondo. Scena uno. Piazza Portanova. Un gruppo di ragazzi si fa largo tra la folla per arrivare sotto la staccionata dell’albero di natale. Due anziani stanno cercando di raggiungere via Iannelli per tornare a casa evitando la marea umana. S’imbattono nel gruppetto che li apostrofa con suoni disarticolati ed epiteti del tipo: “’Sti c**** ‘e viecchie, levateve ananze ‘e palle!”.
Atto secondo. Scena due. Villa comunale. “Teresa, Teresa, Teresaaaaa! Vieni qua, ca mettimmo ‘o creaturo ‘ngop ‘o cavallo e po’ dint ‘a varca”. Un astante, che ha provato a ricordare il divieto di calpestare le aiuole, viene messo a posto senza diritto di replica: “E a te che te ne fotte! Sei nu vigile urbano? No? E allora fatte e fatte tuoie!”.
Atto terzo. Scena uno. Piazza Flavio Gioia. Lui e lei seduti sulla panchina mangiano il solito panino e bevono un paio di birre. Si sbaciucchiano, si prendono in giro, guardano il sole, i pianeti, la via lattea, poi si alzano e vanno via. Lasciano come testimonianza del loro amore ‘e carte ‘nzevate e due bottiglie di birra.
Atto terzo. Scena due. Nei pressi dello stadio Arechi. “Dottò venite qua, c’è un posto libero tutto per voi!”. Sistemata l’auto, l’abusivo si avvicina al conducente (che ha al seguito moglie, figli e suoceri) e intima: “Sono cinque euro”. Il malcapitato prova a trattare. Niente da fare. “Dottò se non ci date (il plurale è significativo) i cinque euro non possiamo assicurarvi che quando tornate la macchina sta come l’avete lasciata” e sorride.