Beppe Grillo, la politica e il web

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Premetto, Beppe Grillo non mi piace. Non sopporto chi per farsi ascoltare ha bisogno di urlare. Non mi fido di chi manda affanculo i politici, né mi attraggono quelli che impongono regole antidemocratiche impartendo lezioni di democrazia. Rimango dell’idea che la politica sia la più alta espressione del senso del dovere collettivo, generato dall’unione della passione civica e dello spirito di servizio. Tuttavia, non sono tra quelli che etichetta il Movimento cinque stelle come un fenomeno antipolitico. Esiste ormai un’esigenza popolare di innovare la rappresentanza politica. Grazie alla rete alcuni cittadini si sono riconosciuti e sono entrati in contatto con altre persone con cui condividono alcune idee. In epoche precedenti non si sarebbero incontrati. Internet ha reso possibile relazioni finora impossibili. Il principio dell’azione collettiva non vale solo per i “grillini”, coinvolge la maggior parte degli utenti digitali che usano il web per amplificare il loro impegno politico. I critici obbiettano che l’attivismo virtuale non porta a grandi risultati. Aderire a una causa su Facebook non significa niente. In parte è vero: è solo un modo comodo per esprimere consenso o disappunto. Ma un gesto simile non è affatto la parte più importante della storia; è solo la parte più visibile. Il mezzo non è il messaggio.

Generalmente i siti politicizzati non sono il luogo in cui si svolge l’azione, ma solo un tramite. Le attività di partecipazione sociale dalle interazioni online spesso si estendono all’ambiente offline. Gli strumenti offerti dal web rafforzano la militanza di soggetti già interessati all’impegno civile. La rete facilita il compito di contattare persone con idee analoghe o di condividere informazioni e organizzarsi. I nativi digitali (meglio dei loro genitori) stanno spostando l’attivismo dal mondo offline al contesto ibrido online/offline. Non si tratta di una banda di sfaticati. È un gruppo di giovani che investono in politica a modo loro e alle loro condizioni. La grande mutazione consiste nell’allontanamento da un modello mediatico di comunicazione unidirezionale ad un altro più partecipativo. Nell’ambiente digitale gli utenti non sono più semplici lettori, ascoltatori o spettatori passivi. Al contrario, grazie alle applicazioni interattive possono intervenire in prima persona nella formazione dell’opinione pubblica. Di conseguenza non sono più solo i giornalisti professionisti e i potenti colossi mediatici, con forti interessi commerciali, a stabilire quali siano gli argomenti di cui dobbiamo interessarci. Nell’era digitale i temi di discussione sono sempre più condizionati dalle osservazioni, dalle esperienze e dalle esigenze dei cittadini informati. Il web ha messo in crisi la democrazia rappresentativa. Gli internauti considerano, infatti, la partecipazione una componente scontata del contesto mediatico. Si è aperto il campo della democrazia semiotica in cui più persone sono in grado di raccontare contemporaneamente gli eventi reinterpretandoli. Certo, la televisione rimane il principale campo di battaglia su cui si svolgono le campagne elettorali (sia tramite la pubblicità, sia tramite i notiziari) ma la rete ha permesso di penetrare lo sbarramento editoriale che ci separava dai candidati. Internet ha mutato il rapporto tra cittadini e mezzi di informazione di massa. L’internauta può decidere di non accettare le notizie somministrate dai media tradizionali ed impegnarsi per rielaborarle in maniera creativa e stimolante. Come hanno dimostrato i cittadini del Maghreb e gli studenti iraniani il web può rivelarsi un mezzo estremamente efficace di organizzazione, reclutamento e partecipazione per raccontare le nuove storie della globalizzazione. Nonostante Grillo, è probabile che nel lungo periodo avremo cittadini consapevoli capaci di influire sulle scelte della classe politica, non più casta.