Bagliori d'Europa sull'autunno americano Milano style

« Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Di risposte, al Marco Polo di Italo Calvino (Le città invisibili) come al più banale dei turisti per caso, Milano è pronta a darne in ogni periodo dell’anno. Ma è in questo inverno poco freddo e molto pop, che la città lombarda, oggi più che mai icona di uno stile al tempo stesso vintage e futurista, si prepara a sfoggiare tutto il suo appeal, esibendolo in particolare chi ha sete d’Europa. No, non ci riferiamo al Libro bianco o al trattato di Maastricht. L’Europa a cui guardiamo è quella che brilla di mostre all’avanguardia, di anteprime internazionali di teatro, di concerti one day irripetibili, quella che stenta a contenere l’overdose dei suoi cinema e dei suoi luoghi di cultura, quella che investe nel pensiero, in un urban style che non è solo copertina glamour, ma qualità altissima della vita e bombardamento di stimoli per i suoi abitanti. Quella “luce” che da quiggiùsemprepiùgiù forse vediamo sfocata attraverso la lente distorta dei nostri più profani ed autoreferenziali “bagliori”, da Milano sembra più nitida. Che ci si sieda in un caffè di Brera o tra i colonnati di Porta Ticinese, che si attraversino gli zanzarosi Navigli, con il naso appiccicato alle vetrine degli antiquari o che si scruti il cielo in piazza Duomo, da questa città che il luogo comune vuole perennemente nebbiosa e ostile al profondo Sud, l’allure di un’Europa che ha messo in cantina il guardaroba da vecchia signora perbene è decisamente più intenso. E’ una questione di gusti, di scelte e di priorità. Ma è fuori dubbio che l’Autunno americano progettato con certosina precisione (e buoni investimenti) dall’amministrazione comunale, parla una commistione di lingue, stili e culture che un pochino fanno arrossire anche la Capitale con i suoi festival più o meno alternativi e le sue gallerie più trasgressive e cariche di vitalità esplosiva. Mostre, concerti, spettacoli teatrali, danza, cinema, letteratura, approfondimenti, retrospettive, incontri. Oltre cinquanta eventi, quasi quaranta collaborazioni tra privati ed istituzioni, per 150 giorni di programmazione che, in occasione dell’anno della cultura italiana in America, celebra il palinsesto a stelle e strisce e le emozioni che questo è stato capace di raccontare dagli anni Trenta ad oggi. La partenza, a Palazzo Reale, è stata affidata a Pollock e gli irascibili, trentacinque anni di “grida” per sventrare e distorcere il senso tradizionale di approcciarsi alla tela; oggi tocca al genio di Andy Warhol, icona di quella riproducibilità tecnica dell’opera d’arte diventata essa stessa pura essenza, passando per una esposizione rigorosamente scientifica dedicata alle potenzialità espresse ed inespresse del cervello. E poi il festival musicale ispirato a Morton Feldman, la rilettura di Song for Drella, il capolavoro di Lou Reed e John Cale in memoria di Warhol, senza considerare la tre giorni di Bob Dylan, la celebrazione di Cage e la trasposizione scenica del duello Frost/Nixon, fino ad arrivare allo spettacolo ispirato alla vita di Mark Rothko. E Invideo, con un focus su videoarte e cinema sperimentale, un festival del design ed uno sullo swing, un laboratorio goloso con protagonisti i migliori pastry chef ed una jam session per Miles Davis. Avrò certamente dimenticato qualcosa, una pioggia di brownies e il fruscio di pagine aperte e voci a decantarle, il buio delle sale squarciate dalla commedia ed un fumetto accartocciato ai piedi di un de Kooning d’annata. Insomma, luce d’Europa, quella vera.