Antifascismo: la storia e il dilemma

Galimberti

Ho letto un commento su Facebook in cui si scriveva che l’editoriale della scorsa settimana era: “un inutile e improduttivo rigurgito antifascista”. L’affermazione mi ha impressionato perché non mi era mai capitato di trovare il sostantivo “rigurgito” accanto al termine “antifascista”. Di solito il “rigurgito” è fascista. Ho consultato il vocabolario: “rigurgito” ha tre significati. Il primo letterale: “riflusso impetuoso di un liquido; il secondo medico: “emissione dalla bocca di cibo non digerito”; il terzo figurato: “improvvisa riapparizione di un fenomeno negativo” oppure “repentino ritorno di fenomeni ritenuti ormai scomparsi”. Il sostantivo in questione è stato associato ad un vocabolo che non indica né il “riflusso di un liquido”, né “l’emissione di cibo”. Se ne deduce che trattasi di “riapparizione di un fenomeno negativo ormai scomparso”. Ma le radici della Repubblica non affondano nel campo della lotta antifascista? La Costituzione non è la felice congiunzione delle culture politiche che si opposero al fascismo? E infine, una simile affermazione non annulla di colpo il sacrificio di migliaia di partigiani? Certo si potrebbe pensare che il commentatore sia un nostalgico del Regime e sarebbe, perciò, giustificata la sua avversione all’antifascismo.

Sono andato, allora, a vedere il suo profilo Facebook e, con somma meraviglia, scopro, dai post in evidenza, che è un militante del Pd. La questione si complica. Come si fa ad appartenere ad un partito che si pone in continuità con i valori dell’antifascismo quando lo si considera “un fenomeno negativo ormai scomparso”? Mi si potrebbe rispondere che è giunto il tempo della pacificazione nazionale, che bisogna mettere a tacere le tare ideologiche, che siamo nella “terza Repubblica” e che non ha più nessun valore definire la propria identità politica a partire dalla scelta antifascista. Una simile convinzione deriva da un luogo comune (frutto dell’intreccio tra il mito della rivoluzione mancata e un malevolo revisionismo storico) che assimila l’antifascismo al comunismo. Pertanto se sei democratico non sei comunista e se non sei comunista non sei antifascista, anzi l’antifascismo è un valore negativo che ti impedisce di dialogare con l’avversario divenuto, nel frattempo, alleato. Com’è noto essere antifascista non significa essere comunista, né socialista, né azionista, né democristiano, né liberale o badogliano; essere antifascista vuol dire essere democratico e se anche un solo iscritto al Pd non l’ha capito è un guaio perché si è lasciato condizionare dalla vulgata metastorica. Il ventennio berlusconiano ci ha “mutato antropologicamente” al punto da aver dimenticato che senza l’antifascismo non ci sarebbero stati i partiti, né la Repubblica, né la Costituzione; senza l’antifascismo non si sarebbe messo fine al governo Tambroni, né realizzato il centro-sinistra, né sventato il Piano Solo, né il golpe Borghese, né sconfitto il terrorismo; senza l’antifascismo non avremmo avuto il compromesso storico, né il movimento antimafia e nemmeno l’evoluzione in senso democratico del Movimento sociale italiano. L’antifascismo non è un “fenomeno negativo ormai passato”, è, al contrario, il tessuto connettivo dell’Italia repubblicana. Non sono mai stato comunista ma sono e resto antifascista.