Accoglienza, la cultura di Aquara

Aquara

Ieri sera sono stato ad Aquara. L’ultima volta avevo al massimo nove anni. Andavamo d’estate a trascorrere qualche giorno a casa degli zii che avevano comprato casa nel paese delle sorgenti per fuggire dalla città nei giorni delle feste comandate e della calura estiva. Roba da anni Ottanta quando le famiglie con doppio stipendio (quella degli zii) si potevano permettere la casa al mare e in montagna con quaranta giorni di ferie all’anno. I miei genitori conservano ancora una foto di me bambino, in compagnia dei mei fratelli e dei miei cugini, sulla piazza antistante la chiesa di S. Nicola di Bari. Alle spalle si intravedere la valle del Calore sulla quale si affacciano Roccadaspide e Castel San Lorenzo come dirimpettaie curiose. Quando partivamo da Salerno avevamo la sensazione di compiere un viaggio infinito e la meta, con la sua quiete e la possibilità di giocare senza il pericolo delle auto, era un’agognata ricompensa. Ieri, tornando dopo trentatré anni, ho avuto la stessa sensazione: autostrada fino a Campagna e poi, dopo Serre, verso Controne fino al bivio per Aquara. Curve su curve tra strade provinciali scassate e scorciatoie interpoderali anguste e dissestate. In prossimità del paese, nella frazione Mainardi, si erge il simbolo della tangentopoli salernitana anni Novanta: i pilastri mastodontici e incompleti della fondovalle Calore, un ardito progetto di collegamento delle aree interne con la Piana del Sele che costò la galera a qualche politico. L’unica altra strada, più diretta ma più lunga, è quella che da Paestum sale su passando per Roccadaspide. Settanta chilometri percorsi, se conosci la strada e non trovi traffico, in un’ora e venti minuti. Per comprendere la fatica basta dire che Polla si trova alla stessa distanza dal capoluogo ma può essere raggiunta in quarantacinque minuti di autostrada. Gli anni sono trascorsi ma le carreggiate, tranne qualche aggiustamento, sono le stesse.

Tuttavia, se da un lato la difficoltà del viaggio scoraggia l’impresa, dall’altro l’isolamento ha salvaguardato il paese da azioni speculative selvagge e da mire criminali (anche se luoghi come questo sono ideali per eventuali latitanze). Negli ultimi trent’anni Aquara si è spopolata. Oggi ci sono circa millecinquecento abitanti, ma la comunità è coesa e, a differenza dello stereotipo del tempo immobile, moderna. Una modernità legata alla civiltà dell’accoglienza e della solidarietà rurale che ha dato vita a un’attività economica di stampo sociale concretizzatasi attraverso la fondazione della Banca di Credito Cooperativo. Ieri sera, nella piazza della foto, c’era tutto il paese ad ascoltare Luigi Cuomo, amministratore della squadra di calcio di Quarto Flegreo, confiscata al clan Polverino e consegnata alla Rete per la Legalità con l’obiettivo di “sfruttare” lo sport quale rinascita civile di una città martoriata dalla camorra. Come in un film degli anni Cinquanta, in prima fila c’erano il sindaco e il capo dell’opposizione (don Camillo e Peppone), il parroco e il maresciallo dei Carabinieri, il medico condotto (presidente della locale squadra di calcio) e il direttore della banca. I protagonisti, però, erano dei giovani ventenni. Durante l’anno studiano o lavorano altrove ma d’estate tornano a casa ed animano il paese. Sette anni fa decisero di organizzare un “banale” torneo di calcio, diventato, al di là di ogni prospettiva, un vero e proprio campionato con ventidue formazioni del comprensorio. Raccolgono un contributo per le iscrizioni e lo devolvono ad un’iniziativa meritevole. “Aquara solidale”, così si chiama l’associazione organizzatrice, ha mobilitato tutti i paesani, nonostante il freddo umido penetrasse le ossa, rendendoli testimoni della donazione di cinquecento euro destinata al Quarto calcio per sostenerlo nelle sue battaglie dentro e fuori il campo di gioco. Con quel gesto Aquara, solo in apparenza lontana dalle terre di camorra, ha scelto da che parte stare. Negli occhi dei ragazzi si leggeva un pensiero ormai desueto: il calcio è sport e quindi impegno fisico e rispetto delle regole. I veri sportivi sanno che la partita si vince innanzitutto fuori dallo stadio assumendo la responsabilità dell’esempio morale.