ABBIAMO COSTRUITO TROPPO E MALE

 

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Il voto è ormai alle porte, ma nella città della “grande trasformazione urbana”, dove sarebbero 40 mila i nuovi vani costruiti dall’adozione del PUC, solo il candidato-sindaco Gianpaolo Lambiase, sembra essersi ricordato che esiste anche questo tema. Com’è noto, il Governatore De Luca ha il “pallino” per la trasformazione urbana, avendone fatto il fulcro dell’azione politica nel ventennio di dominazione su Salerno, al punto da evocare a garanzia della giustezza della propria visione l’epilogo della storia di Zora ne “Le città invisibili” di Calvino. Non sorprende perciò il fatto che, assurto a più alto scranno, oggi ne faccia il punto di forza della propria politica, proponendo incisive modifiche (da lui dette “semplificazioni”) alla legge urbanistica regionale n.16/2004. Lo scopo “nobile” dell’impresa sarebbe, sulla carta, di rimettere in moto la stagnante economia campana in un settore trainante quale quello delle costruzioni. Mettere i sindaci delle maggiori realtà urbane campane  – soprattutto quelle che si trovano o possano inserirsi in percorsi turistico-culturali – in condizione di promuovere un visibile passo avanti nella qualità delle loro città appare – a chi ne conosca più d’una da vicino (nel napoletano e nel casertano, ma anche nell’area di confine tra Napoli e Salerno)  - non si può che giudicare attività buona e giusta. Il problema è semmai quello di circoscrivere bene scopo e raggio d’azione dei nuovi strumenti normativi che si intendono mettere a disposizione degli enti locali. Per essere più chiari, il fine di una politica urbanistica che oggi aspiri a definirsi “nuova” non può essere l’ulteriore indiscriminato consumo di suolo. Ma deve essere bensì tarato sulla bonifica e il recupero dell’esistente (tanto più quando risulti di valore storico-culturale) dovunque possibile. E sull’abbattimento del fatiscente con piani edificatori che rispettando le precedenti volumetrie puntino alla complessiva riqualificazione di pezzi di tessuto urbano degradato. Noi non possiamo fare come la Cina che sulla spinta della fortissima pressione demografica (da noi inesistente nonostante continui ingressi di extracomunitari) crea “città fantasma” poi inabitate, com’è accaduto con Yujiapu sul fiume Hai, a sud est di Pechino. Il metodo per fare una buona politica urbanistica non può essere quello seguito a Salerno con il PRG prima e il PUC dopo. Il criterio adottato nel dimensionamento della città si è rivelato, a distanza di 10 anni dall’adozione del PUC (2006), del tutto sbagliato. Immaginare che una città nell’arco di 20 anni (e ci avviciniamo, perché il target di Salerno-città da 180 mila abitanti fu fissato nel 2000 sulla base dello studio Censis-Sichelgaita del 1998) possa crescere del 25% è fuori da ogni attendibile previsione. Lo conferma il fatto che su 18 capoluoghi - da nord a sud  - solo 3 (Parma, Siena e Reggio) tra il 2001 e il 2015 siano cresciuti di una percentuale a due cifre,  e solo Reggio Emilia abbia toccato il 20%. Mentre Salerno, a onta di quelle fantasiose previsioni, in 15 anni ha perso 8.810 abitanti, più del 6% di quelli che nel 2001 attribuiva ad essa l’Istat, risultando prima tra le 15 per spopolamento. Non si capisce perciò perché a Salerno non si avvii quel ripensamento che pure suggeriva Bohigas nella “bozza” di Piano, annotando che: “ l’espansione del PRG si dovrà adattare alla realtà socioeconomica di periodi successivi e dovrà correggerne il contenuto man mano che verifica la realtà”. Esattamente quello che a Salerno ci si rifiuta di fare, mettendo la testa nella sabbia. E ignorando, oltre ai dati di fatto, il severo ammonimento di Rafael Moneo, premio Pritzker per l’architettura: “l’errore dell’Italia è aver costruito troppo”. E in qualche caso, anche male, come s’è fatto a Salerno con la penosa vicenda del Crescent. E non solo.