A Salerno il PD sceglie i deputati?

di Carmine Pinto
La direzione provinciale del Partito democratico di Salerno si riunisce stamane. A meno che non ci siano rinvii, dovrà approvare una lista di candidati da proporre agli elettori negli ultimi giorni dell’anno. Il numero dei potenziali parlamentari può essere il doppio delle posizioni che toccano ai democratici della provincia di Salerno, all’interno della famigerata lista bloccata figlia del “porcellum”, il trenta per cento degli eletti devono essere donne. Fin qui tutto bene, a meno che non ci si voglia confrontare con la realtà. Nenni diceva che questa costringe a fare i conti, e spesso dà pessimi risultati. In questi giorni, subito dopo l’annuncio di Bersani, è impazzato il toto candidati. Nulla di male, oramai da anni siamo abituati, anche per i consigli comunali, a vedere eserciti di aspiranti primi ministri. Meno piacevole è stato lo spettacolo di dozzine di dirigenti politici e sindaci pronti a rincorrere o scambiare firme e attestati per poter chiedere la benedizione della direzione del partito (per la candidatura servono un certo numero di sottoscrizioni), esaltando al massimo il personalismo estremo che oramai è diffuso anche tra i democratici.

Il mondo è cambiato, la politica pure, scandalizzarci sarebbe sbagliato non solo sul piano di presunti giudizi morali quanto, appunto, nell’analisi della realtà. Vediamo il potenziale esito delle primarie. Innanzitutto possono votare solo gli elettori delle consultazioni precedenti, in secondo luogo una parte degli eletti (tra il 20 e il 30%) è deciso a Roma. Poi, tra deroghe complete e mezze deroghe, sono automaticamente confermati tutti i capi correnti romani e regionali. Infine, la direzione locale può a maggioranza escludere i candidati. Insomma lo strumento appare poco o nulla credibile. Sempre restando nel caso locale, se le primarie si limiteranno a registrare i rapporti di forza salernitani, tra chi controlla il partito e i suoi alleati più stretti, qual è il senso di queste consultazioni? La risposta è semplice, si tratta di un problema di legittimità.

Le primarie sono continuamente riproposte dalla sinistra italiana ma il risultato si conosce prima, quando queste interessano il gruppo dirigente centrale (diverso è il caso delle primarie, libere, per la scelta dei candidati sindaci). Però, quando vengono convocate, visto che si sa chi vince, il motivo è diverso. La sinistra ex comunista, che per mezzo secolo è stata una forza anti sistema e per altri vent’anni una realtà minoritaria nel paese, cerca attraverso questo strumento una legittimazione politica, ma non un reale processo decisionale. E’ questo, da sette anni, il punto di crisi delle primarie. In America le consultazioni non sono mai scontate, possono sconvolgere il quadro di partenza e, soprattutto, sono gestite da enti terzi ed imparziali. Servono a decidere, anzi a far decidere militanti ed elettori di base. Queste primarie italiane sono sempre scontate, confermano le decisioni del gruppo dirigente e sono organizzate dallo stesso partito che chiede alla gente di partecipare. Servono a legittimare le decisioni già prese dal vertice romano e dal notabilato locale. Il caso di Salerno, oggi e tra una settimana potrà confermare se, ancora una volta, conteranno l’appartenenza interna e la fedeltà politica o una potenziale partecipazione popolare.

pubblicato su "la Città" del 22 dicembre 2012