2015: l'anno in cui il critico finì nel Presepe

mennaFiliberto Menna non era un uomo altezzoso. Come tutte i veri sapienti era un uomo alla mano e di certo avrebbe apprezzato l’omaggio di Mario Carotenuto e la collocazione nel suo presepe. Probabilmente non avrebbe storto il naso di trovarsi accanto, oltre che ad Alfonso Gatto, ad illustri sconosciuti e in un contesto alquanto popolare qual è il Presepe della Sala S. Lazzaro che pure lui stesso aveva incoraggiato negli anni '80. Tuttavia, oggi questa sorta di “cristallizzazione” da Museo Tussaud di un personaggio che è stato fervente studioso delle avanguardie, critico militante, operatore impegnato sul piano civile,  appassionato della contemporaneità, suona come una tardiva captatio nella città in cui domani si chiude a Palazzo Fruscione (salvo proroghe) la sedicente Biennale d’arte contemporanea e mentre la sede della Fondazione ha bisogno di lavori urgenti.  Se da una parte la Fondazione al critico intitolata è divenuta col passare degli anni un appartato centro studi  con iniziative molto esclusive; dall’altra si assiste in città ad un proliferare di “epifenomeni” in nome dell'arte, una sorta di prêt-à-porter  dell'artista dilettante con personali, impersonali, vernissage, collettive di cui l'anno trascorso ha segnato una sorta di apoteosi. In un interessante schema comparso su La lettura del Corriere di ieri,  la rivista Art Review compone una mappa mondiale del potere dell’arte, una sorta di “casta globale” fatta di artisti, critici,galleristi e collezionisti che conta non più di 30 personalità a New York, 19 a Londra, 11 a Berlino, vere e proprie capitali del settore mentre nelle altre città non si arriva al numero dieci. Pochissimi gli italiani, dislocati tra Milano e il mondo, quasi tutti curatori e galleristi. In altri termini la prestigiosa rivista disegna un sistema chiuso, molto autoreferenziale, dove girano molti quattrini con quotazioni  e un giro d’affari milionari ma dove gli artisti riconosciuti sono pochissimi. Nel “sistema” l’artista non è più da tempo nella sua solitudine creativa ma è una sorta di manager al centro di un vorticoso giro  di relazioni, media, affari e dove quello che conta è riuscire ad esprimere al massimo il proprio tempo. Tutto il resto, sembra dirci la prestigiosa rivista, non esiste.  Le poche gallerie esistenti nella nostra città  che a questo "sistema" si sono giustamente riferite,  conoscono molto bene  le difficoltà e la fatica di inserirsi. Se la Galleria Verrengia resiste, dopo venti anni e più di impegno, ha invece dovuto rinunciare Tiziana di Caro che ha chiuso il magnifico spazio di via Botteghelle e se ne è andata a Napoli;  e anche la Galleria Leggermente fuori fuoco che ha cercato di ritagliarsi in questi anni uno spazio nella fotografia d’autore si trova in difficoltà. Se  insomma questi sono i termini di un sistema globale – pochi gli artisti, i curatori e le gallerie che contano - che vede finanche escluse importanti gallerie italiane come quella di Lia Rumma,  gli interrogativi che si pongono su una realtà locale come la nostra sono molteplici e il confronto impietoso. Rispetto appunto alle difficoltà che si trova ad affrontare chi opera seriamente all’interno del mondo dell’arte, appare quasi uno sberleffo, per non dire un affronto,  una sedicente Biennale  sostenuta dalla pubblica amministrazione che ospita ben 360 "artisti" e 500 opere con un desk per le confezioni natalizie, premi, eventi e cotillon vari. Intanto sarebbe interessante sapere alcuni dati a cominciare dal numero di visitatori che dovrebbe giustificare l’apertura e i costi del Palazzo Fruscione ma soprattutto l’introito degli organizzatori derivante dalla quota di partecipazione e dalle vendite; introito che deve essere stato notevole viste le quote calcolate a metro lineare. Se non altro per mettere a confronto il valore artistico, pari a zero,  con il valore commerciale dell’iniziativa. Su questo la buonanima di Filiberto, a suo tempo commissario alla Biennale di Venezia, curatore alla Quadriennale e di moltissime prestigiose altre  mostre avrebbe forse avuto qualcosa da dire. Insomma ci piace il Presepe, però...

Nella foto le immagini del Presepe di Mario Carotenuto