Dal calcio al lager dei nazisti La storia di Alfredo Vestuti 

Col fratello Donato svelò il calcio ai salernitani. Nel ’42 fu un eroe a Bir Bu Breica Maggiore dell’Arma partecipò alla difesa di Roma e fu deportato in Germania

“Il giorno della cattura fummo fatti cadere in un tranello… Eravamo un ingombro, un ostacolo… eravamo testimoni da eliminare, eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi”. Sono le parole taglienti del maggiore dei carabinieri Alfredo Vestuti, ebolitano uscito vivo dalla battaglia di Roma e dall’inferno dei lager tedeschi. Era il fratello di Donato, assieme al quale aveva introdotto il gioco del calcio a Salerno.
All’alba del 7 ottobre 1943 scattò a Roma la drammatica caccia della Wermacht agli ottomila carabinieri in servizio nella capitale. Il gigantesco rastrellamento seguì l’ordine di disarmo dell’Arma firmato dal maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, ministro della Difesa nazionale della Repubblica Sociale Italiana, su pressione di Kappler.
Per costringere gli ufficiali dei Carabinieri a indurre i propri uomini a consegnare le armi, Graziani aveva minacciato il plotone di esecuzione per i disubbidienti e dure rappresaglie contro i loro familiari. In tal modo si tentò di indebolire la Resistenza nella capitale, togliendo dal teatro di guerra i militari dell’Arma che, dopo l’8 settembre, non solo avevano preso le armi contro le truppe naziste, ma avevano difeso la popolazione contro le angherie delle SS del colonnello Kappler e del capitno Piebke.
I carabinieri furono disarmati e allontanati dalla capitale. A migliaia furono sorpresi e bloccati nelle caserme romane, ma chi era in servizio nelle piccole stazioni riuscì a sottrarsi alla cattura e corse a dare vita alle bande combattenti del generale calabrese Filippo Caruso.
Anche Alfredo Vestuti incappò nella grande retata, che vide stipare 2500 militari dell’Arma nei treni merco verso la Germania. Il padre Cosimo era maresciallo dei Carabinieri Reali, e la madre Filomena Turco maestra elementare originaria della Liguria. Lui era nato a Eboli il 18 settembre del 1896 in una famiglia benestante e, dunque, così come l’eroico fratello Donato e come Guido, ebbe l’opportunità di completare gli studi liceali. I fratelli Vestuti non furono solo grandi soldati, ma ebbero un ruolo decisivo nella nascita e nella diffusione del calcio a Salerno.
Donato, maggiore di 15 anni, lavorò come cronista sportivo al “Giornale della Provincia”, di cui era direttore Guido, terzo figlio del maresciallo Cosimo, e collaborava con “Il Giornale d’Italia” e con “Il Messaggero”. Nel 1913 fondò il “Foot Ball Club Salerno”e, da unico presidente e sovvenzionatore, si lanciò nella grande avventura che avrebbe generato i nuovi “eroi della domenica”, i quali già in quegli anni incominciavano a sollevare le prime ondate di entusiasmo.
Quando Donato partì per il fronte, Alfredo trovò doveroso mettersi subito al servizio della società calcistica fondata dal fratello maggiore, indossando maglietta e mutandoni e prendendo parte alle prime storiche partite sui campi di fortuna o al “Piazza d’Armi”.
A maggio del 1918 Donato tornò a casa per una breve licenza che utilizzò per spronare il fratello minore e laurearsi in giurisprudenza all’università di Napoli, ma già dopo poche settimane era di nuovo sul Carso, da dove, purtroppo, non fece più ritorno. Capitano comandante della 25ma Batteria Bombarde, rimase crivellato di schegge sul Col dell’Orso, morendo da eroe e guadagnando la medaglia d’argento. Egli entrò nella “Hall of Fame” del calcio salernitano come il principale iniziatore del movimento e nel 1958 gli fu, giustamente, intitolato lo stadio di via Nizza.
Intanto Alfredo aveva affinato la sua tecnica e nel 1921-22 giocò come mediano nella formazione che partecipò al campionato di Prima Divisione in cui figuravano Gerardo Conforti, un altro eroe della seconda guerra mondiale, Frigerio, Fariello e il tedesco di Vietri sul Mare Willy Kargus, primi idoli della tifoseria biancoceleste.
Francesco Fariello fu il primo salernitano a trovare posto nell’Internaples del grande presidente Ascarelli, eccellendo nella sua specialità che era quella di fare gol. Alfredo Vestuti entrò nei ruoli dirigenziali della Salernitana come direttore e cassiere e salutò per sempre il calcio quando l’Arma dei Reali Carabinieri lo chiamò a calcare le orme paterne. Fu inviato in Tripolitania, dove fece le prime esperienze di guerra, trovandosi subito in zona di operazioni.
Capitano al comando di una compagnia di carabinieri addetti alla sorveglianza del fronte, tra il 6 febbraio e l’8 marzo fu duramente impegnato nella grande battaglia per la riconquista della Cirenaica. Il coraggio e l’alto senso del dovere lo videro sfidare le bombe durante le violente incursioni inglesi su Tripoli per accorrere ovunque ci fossero civili feriti o in difficoltà e per mantenere l’ordine e la sicurezza pubblica in una città preda del panico e del caos. Una prima Croce di Guerra premiò il suo scrupolo e una seconda gli fu conferita in seguito a una brillante operazione portata a termine il 1 giugno 1942 a Bir Bu Breica, dove alla testa di uno squadrone di carabinieri libici, sopportando il dolore di una ferita, affrontò ingenti forze ribelli snidandole dalle loro posizioni e disperdendole con un sanguinoso attacco.
Al rientro in Italia dopo l’armistizio, fu coinvolto in altre durissime prove, che confermarono il suo alto senso del dovere e la sua fedeltà alla Patria, doti che erano costate la vita al fratello. La bieca caccia dei nazifascisti, la cattura e la deportazione nei campi di Gross-Hesepe, Chestokowa e Norimberga non lo piegarono nonostante le sofferenze e i traumi fisici e morali inflittigli a migliaia di chilometri da casa. Uscito vivo dai terribili lager nazisti, il maggiore Alfredo Vestuti rimise piede, stanco e febbricitante, in una Salerno che gli sembrò spettrale. Quando si riprese raccontò le sue amare esperienze in un libro-diario di 26 pagine che intitolò semplicemente “Echi”.
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